MILANO – Indagata per diffamazione a causa di un post pubblicato sulla sua pagina Facebook. E’ accaduto a Marina Morpurgo, giornalista (ex inviata de “L’Unità” ed ex caporedattore di “Diario”) e scrittrice milanese, rea, a giudizio della Procura di Foggia, di aver diffamato una scuola professionale per estetiste, la Siri.
A rendere nota la notizia è l’edizione on line del settimanale “l’Espresso”, ricordando che, in particolare, la giornalista – anche se lei ci tiene a dire che “da anni non la faccio più” – aveva criticato, più di un anno, fa, sul social network, un manifesto realizzato dalla scuola foggiana per pubblicizzare i propri corsi. Manifesto che Marina Morpugno riteneva sessista. E aveva voluto scriverlo su Facebook, rendendo, così, pubblico il suo commento.
“Anche io ho sempre avuto le idee chiare: chi concepisce un manifesto simile andrebbe impeciato ed impiumato… I vostri manifesti e i vostri banner sono semplicemente raggelanti… Complimenti per la rappresentazione della donna che offrite… Negli anni Cinquanta vi hanno ibernato e poi svegliati”. Queste le parole utilizzate dalla Morpugno sul social network e indirizzate, appunto, all’istituto professionale foggiano e, soprattutto, al suo banner pubblicitario che ritraeva una bambina bionda intenta ad imbellettarsi con un rossetto, sotto la scritta “Farò l’estetista…ho sempre avuto le idee chiare”.
Risultato: un avviso di garanzia, notificato dalla procura di Foggia all’(ex) giornalista a conclusione delle indagini preliminari, in cui si ipotizza il reato di diffamazione.
Nell’intervista di Pietro Falco per “l’Espresso”, la Morpugno afferma che “è solo la libera espressione del mio giudizio, che dovrebbe essere garantita dall’articolo 21 della Costituzione”. La giornalista, insomma, si dice vittima di un paradosso, specie considerando che “in 20 anni (di onorata professione giornalistica, ndr) non ho mai ricevuto una querela. Anzi, nemmeno una smentita o una richiesta di rettifica. Proprio perché sono sempre stata attentissima alle espressioni che utilizzavo”. Ora, il primo guaio giudiziario per “colpa” di Facebook.