TAORMINA (Messina) – E’ vero. Il procuratore Nicola Gratteri si era seduto sul divanetto dello storico Hotel San Domenico, a Taormina, per parlare del suo ultimo saggio sulla ‘ndrangheta, “Dire e non dire”, scritto ancora una volta a quattro mani con Antonio Nicaso, in occasione di Taobuk, il Festival delle belle lettere organizzato da Antonella Ferrara, con la direzione artistica del giornalista Franco Di Mare.
Ad intervistarlo, però, c’era Carlo Parisi, giornalista e, soprattutto, vicesegretario della Federazione nazionale della stampa e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria. Testimone diretto, qualche giorno fa, di un brutto episodio nella redazione reggina de “L’Ora della Calabria”, dove è piombata la Polizia con tanto di mandato di perquisizione firmato dai magistrati della Procura di Reggio Calabria, tra cui, appunto, Gratteri.
Obiettivo dell’ispezione, la ricerca di un verbale il cui contenuto era stato pubblicato, la mattina, sul quotidiano, in un articolo dal titolo “Stragi di mafia, asse
Reggio-Palermo” a firma di Consolato Minniti.
“Un episodio inquietante – ha detto Carlo Parisi, rivolgendosi al procuratore aggiunto della Repubblica, – che ha visto gli agenti mettere a soqquadro una redazione, sequestrare documenti, computer, telefonini, bloccando, di fatto, sino alle 23.30 la trasmissione delle pagine del giornale da Reggio Calabria. E tutto questo perchè un giornalista, in questo caso Consolato Minniti, aveva pubblicato stralci di un verbale che, evidentemente, aveva ricevuto da qualcuno. Non rubato. Un giornalista, insomma, che ha fatto il suo mestiere, rendendo pubbliche notizie importanti di cui era venuto a conoscenza. Ma non è stato proprio lei, dottor Gratteri, a dire pubblicamente e in più occasioni che i giornalisti non devono limitarsi al copia-incolla, ma devono andare in giro, muoversi, fare domande e parlare, raccontare, scrivere, affinché si sviluppi una sana coscienza critica?”.
“Verissimo – ha subito risposto Nicola Gratteri -, ho sempre detto ai giornalisti di non fermarsi al comunicato stampa, ma nel caso dell’ispezione a ‘L’Ora della Calabria’ si trattava di due verbali riguardanti fatti delicatissimi, i cui stralci erano stati pubblicati, la mattina, e, elemento ancor più dannoso e preoccupante, con la dicitura ‘continua’ apposta in fondo all’articolo: ciò stava a significare che l‘indomani sarebbe seguita la pubblicazione di un’altra parte dei documenti, a grave danno, ripeto, delle indagini in corso”.
Da una parte le sacrosante preoccupazioni del magistrato, dall’altra, però, lo sconcerto dei giornalisti. E di chi li rappresenta: “La censura preventiva è proibita dalla legge – ha rimarcato Parisi – e non solo da quella sulla stampa, ma anche dalla stessa Costituzione. Le modalità, poi, con cui è avvenuta la perquisizione, sia pure attutite dal ‘garbo’ degli agenti, come ha riferito lo stesso Minniti, lasciano quantomeno perplessi: al giornalista hanno sequestrato computer, telefonini, block notes, hanno frugato in casa sua e in quella dei suoi genitori, persino nella stalla”.
“La pubblicazione degli stralci di quei verbali ci ha causato un danno gravissimo – ha replicato il magistrato – e andava bloccata la reiterazione del reato”. “Inoltre – ha sottolineato Gratteri – l’abbiamo fatto convinti di poter trovare una traccia della ‘talpa’ che ha passato i documenti al giornalista”. A fermare il serrato botta e risposta tra il vicesegretario della Fnsi e il procuratore aggiunto ci ha pensato il “gong” del tempo scaduto.
Serrato botta e risposta, al Taobuk di Taormina, tra il vicesegretario della Fnsi, Parisi, e il magistrato sul “caso Minniti”
Peccato che il “gong” abbia interrotto l’aggueritissimo Carlo Parisi. Emerge comunque ancora una volta con nettezza come sia arrivato il momento di dire basta allo strapotere, senza responsabilità, di quei P.M. che hanno preso ormai in scacco il Paese, demolendo democrazia, libertà di stampa, proiettati spesso alla costruzione di personali mostruose carriere politiche e
quindi ad autopromuoversi con ogni mezzo.
Insisto, a partire dai prossimi referendum, posssiamo e dobbiamo fermare la deriva di uno Stato dominato da una terrificante magistratura politicizzata che, col pretesto della autonomia e della indipendenza, scivola sempre più verso l’arroganza e l’arbitrio.