Cronaca del sequestro nella sede di Reggio de "L’Ora della Calabria”. I documenti “incriminati” consegnati spontaneamente

Consolato Minniti: “Ho fatto il mio dovere di cronista”

Consolato Minniti

Consolato Minniti (L’Ora della Calabria)

REGGIO CALABRIA – Non ho mai amato utilizzare la prima persona singolare nella stesura di un pezzo, fosse anche un corsivo. Mi è apparsa sempre una forma di rispetto verso i nostri lettori. Ma, dato che questa volta l’oggetto sono io mi perdonerete l’inusuale licenza. Dunque, nella giornata di giovedì una dozzina di poliziotti della Squadra Mobile di Reggio Calabria si è presentata in redazione.
La cronaca dei fatti è già nota. Mi trovavo fuori sede, sono giunto e mi è stato notificato un decreto di perquisizione. Ritenevo che l’attività si esaurisse all’interno dei locali di lavoro; credevo che oggetto dell’interesse dei poliziotti fosse solo la mia postazione o comunque il rinvenimento del “corpo del reato”, ossia dei documenti dai quali ho tratto l’articolo sulle stragi di mafia.
Evidentemente mi sbagliavo. Perché, e ciò mi preme sottolinearlo subito, sono stato io stesso a mettere nell’immediata disponibilità degli investigatori quel che loro stavano cercando, non appena ho intuito quale fosse l’obiettivo dell’attività.
Erano sette fogli con all’interno due distinti verbali di riunione della direzione nazionale antimafia, recapitati anonimamente in redazione qualche tempo prima. Nonostante abbia comunicato tempestivamente che quella era la fonte da cui avevo attinto per la stesura del mio articolo, la perquisizione è andata avanti, estendendosi anche alla mia persona.
Mi hanno chiesto di svuotare le tasche dei miei pantaloni. L’ho fatto. Devo riconoscere agli uomini guidati da Gennaro Semeraro e Francesco Rattà il rispetto e la delicatezza avuti nei miei riguardi. Leggevo nei loro occhi quasi un disagio per quell’attività così particolare delegata dalla procura.
Così come sono rimasto fisso per qualche minuto a guardare le firme apposte sul decreto di perquisizione. Nomi di magistrati che incontro quotidianamente, coi quali scambiamo spesso impressioni e sensazioni, che seguo per ore all’interno delle aule di tribunale nei durissimi processi alla criminalità organizzata. Leggere il mio nome su quel foglio non è stata una bella sensazione.
Ma per chi fa il nostro mestiere può accadere, si mette in conto. Quel che invece non potevo immaginare era che, di lì a poco, non avrei potuto più comunicare con il mondo esterno, perché anche i miei telefoni cellulari sono stati portati via: foto, sms, chiamate. Ho accettato. La perquisizione si è poi estesa alla mia vettura, passata al setaccio sino alla ruota di scorta; alla mia abitazione, sin dentro una vecchia stalla che si trova a pochi metri dall’edificio.
Poi è stato il turno della casa dei miei genitori. Credo sia stato il momento più difficile, lo confesso. Non è edificante per un uomo di 30 anni, che ha anche portato gli alamari sulla giacca, arrivare di fronte ai propri genitori accompagnato da un poliziotto (peraltro straordinariamente umano) che apre la strada ai colleghi che iniziano a frugare dentro armadi, cassetti e scaffali alla ricerca di qualcosa che non ci può essere.
Sono rimasto in questura sino all’una di notte in attesa di firmare i verbali di perquisizione e sequestro. Venerdì mattina mi sono spontaneamente presentato in procura, accompagnato dal mio avvocato Aurelio Chizzoniti, dove, davanti al procuratore Cafiero de Raho, ho fornito tutte le delucidazioni richieste. Con il consueto garbo, con rara delicatezza ed enorme rispetto, mi è stato contestato dal procuratore capo di aver divulgato informazioni riservatissime.
Non è tempo di entrare nel merito della pubblicazione. Ritengo di aver fatto semplicemente il mio dovere: pubblicare una notizia di cui sono venuto a conoscenza e che mai, nemmeno per un istante, ho ritenuto potesse nuocere ad un’indagine.
Con stupore, rammarico ed infinita amarezza, ho preso atto delle contestazioni mosse. Ma vorrei fosse chiaro che continuo a nutrire la massima fiducia nella magistratura reggina e che ritengo il procuratore Cafiero de Raho una garanzia assoluta. Ciò non significa che rinuncerò ad agire in tutte le sedi competenti per difendere il mio operato. Ho fatto del rispetto della legge, della legalità e della lotta alla criminalità una ragione di vita. Non mollerò. Continuerò a raccontare come ho sempre fatto. Barra dritta verso la meta, che ha un solo nome: la verità!
Consolato Minniti

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